Nella settimana che Expo2015 dedica alle donne, notizie incoraggianti arrivano dalla ricerca. Uno studio dell’Istituto Nazionale dei Tumori, pubblicato sul British Journal of Cancer, definisce il valore aggiunto dell’espressione di alcuni microRNA rispetto a variabili clinico-patologiche e a determinati profili molecolari.
Milano, 3 luglio 2015 – Un nuovo approccio al trattamento delle pazienti con carcinoma alla mammella arriva da uno studio condotto dai ricercatori dell’Unità Biomarcatori del Dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare dell’Istituto Nazionale dei Tumori, finanziato anche da AIRC e pubblicato recentemente sul British Journal of Cancer. In particolare, lo studio riguarda uno dei cinque sottotipi di tumore al seno individuati per scegliere al meglio le terapie molecolari, quello luminale, che interessa 7 pazienti su 10 e che include sia pazienti con ottima prognosi, praticamente sempre libere dalla malattia (malattia indolente), sia pazienti che vanno incontro a recidive locali e a metastasi anche a distanza di un decennio dalla rimozione del tumore primitivo (malattia aggressiva).
Dalla ricerca emerge l’importante ruolo di un microRNA, il miR‑30e*, che permette di individuare tra le donne con carcinoma mammario luminale senza coinvolgimento dei linfonodi ascellari (quindi ad uno stadio iniziale della malattia), quelle per le quali il rischio di sviluppare metastasi a distanza è minimo a parità delle altre variabili, come il grado di coinvolgimento della risposta immunitaria (valutata come espressione dei geni).
“Lo studio – spiega la dottoressa Maria Grazia Daidone, direttore del dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare dell’Istituto dei Tumori e coordinatrice del progetto insieme alla dottoressa Vera Cappelletti, ricercatrice biologa dell’INT – non si limita a valutare il ruolo prognostico di alcuni microRNA, piccole molecole di RNA che regolano l’espressione genica e sono disregolate nei tumori. Cerca anche di stabilire quanto queste molecole contribuiscono a definire il rischio di metastasi anche in presenza delle informazioni già fornite da età della paziente, dimensione e grado istologico del tumore e presenza di malattia nei linfonodi ascellari, informazioni già presenti nel foglio della diagnosi”.
Daidone precisa: “In questo caso si è dimostrato che un’ elevata espressione di miR-30e* conferisce un effetto protettivo sulla comparsa di metastasi: il rischio relativo di metastatizzazione a distanza è circa 8 volte inferiore per le pazienti il cui tumore esprime elevati livelli di miR-30e* rispetto a quelle il cui tumore ne esprime bassi livelli o non lo esprime del tutto. Tale risultato ha trovato conferma anche su casistiche indipendenti di pazienti operate in altri Istituti e questo rafforza l’osservazione iniziale dell’Istituto Nazionale dei Tumori. Infine lo studio, ha offerto una spiegazione dell’effetto protettivo della maggiore espressione di miR‑30e*”.
L’individuazione precoce di questi gruppi risulta quindi di importanza fondamentale per una pianificazione terapeutica più mirata che eviterebbe l’esposizione a trattamenti tossici e costosi a pazienti che non ne necessitano. Aiuterebbe a identificare le pazienti con malattia aggressiva prima che questa si manifesti, con la possibilità quindi di contrastarne l’insorgenza con terapie specifiche.
“Si tratta di un ulteriore passo in avanti per il trattamento dei tumori grazie al lavoro dei nostri ricercatori – commenta il presidente dell’Istituto dei Tumori, Giuseppe De Leo -. Un’ottima notizia che vogliamo diffondere proprio nella settimana di Expo dedicata alle donne: una ricerca coordinata proprio da due donne che regala nuova speranza alle pazienti di tutto il mondo”.
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