La fiducia in Dio, ma anche nell’affetto del partner e dei figli, nella ricerca scientifica e nei medici rappresenta un aiuto fondamentale per i pazienti. La speranza diventa un’alleata insostituibile durante il percorso di cura e il paziente è favorevolmente influenzato anche dalla qualità del rapporto con le persone che si prendono cura di lui. Il dato è confermato non solo dal senso comune, ma anche da uno studio scientifico – presentato oggi all’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – al quale, per la prima volta, ha collaborato il cappellano dell’INT, don Tullio Proserpio.
Milano, 27 novembre 2015 – Guardare oltre. Oltre la malattia, oltre la sofferenza, oltre l’incognita del futuro. A questo serve la speranza, elemento chiave in un percorso di cura, in particolare quando si è costretti ad affrontare la diagnosi e il trattamento di un tumore.
Ma quanto ‘pesa’ la speranza nel tortuoso percorso di cura della malattia e quanto risulta efficace la cura se supportata da una buona dose di speranza? Molto, forse più di quanto ci possa suggerire il senso comune. A rivelarlo è una ricerca che ha suscitato molto interesse in ambito scientifico a livello internazionale, pubblicata a inizio estate su Tumori Journal (TJ) e oggi al centro del convegno “Cura della speranza, speranza nella cura” che si è svolto nell’aula magna dell’Istituto Nazionale dei Tumori.
Lo studio “Hope in cancer patients: the relational domain as a crucial factor”, ha coinvolto 320 pazienti dell’Istituto Nazionale dei Tumori ed è stato condotto da un’équipe di lavoro multidisciplinare composta da oncologi, statistici, psicologi clinici e –novità – da un sacerdote ospedaliero, don Tullio Proserpio della cappellania ospedaliera della Fondazione IRCCS – Istituto Tumori di Milano, da molti anni impegnato accanto ai malati di tumore.
Il lavoro scientifico, che nei prossimi mesi verrà replicato su un altro campione di pazienti a Houston, in Texas, al Methodist Hospital Research Institute, conferma la correlazione determinante tra speranza e qualità della vita in ambito oncologico e dimostra che, oltre alla componente clinica, psicologica e sociale, anche quella religiosa, o meglio spirituale, assume un ruolo fondamentale.
“Si tratta di un aspetto insostituibile nella relazione tra il paziente e le persone che si prendono cura di lui e nella tenuta delle relazioni affettive, così come nel corretto svolgimento del trattamento oncologico – spiega don Tullio Proserpio, il sacerdote che ha voluto testimoniare, per la prima volta, anche attraverso la scienza e un metodo rigoroso, quello che il sentire comune ci suggeriva già -. Abbiamo misurato quanto conta la speranza in un percorso di cura e l’importanza di riporre un’aspettativa al di là della vita. I pazienti sono stati 320: molti ricoverati nei reparti dell’Istituto Nazionale dei Tumori, altri seguiti a domicilio”.
Il 95,3 per cento degli intervistati, seppure non tutti credenti, afferma che sapere di non essere solo offre speranza, mentre solo l’8,1 per cento non crede di stare meglio grazie alla preghiera di altri.
Risulta però fondamentale l’impatto della dimensione relazionale, spirituale e religiosa sul rafforzamento della dimensione clinica.
L’88 per cento, infatti, dichiara di pregare, anche se talvolta raramente (20,3 per cento) per gli altri pazienti. Tra quanti pregano anche per gli altri malati, una percentuale, anche se minima (0,93%) si dichiara non credente. “Questo conferma che anche la preghiera è vissuta e sentita come ‘relazione’ – conferma don Tullio – e dimostra come la dimensione della speranza in un contesto di cura sia fortemente comunitaria”.
La risposta positiva alla malattia può essere sostenuta anche dalla speranza di guarigione, supportata da una corretta e continua informazione e dalla fiducia nel proprio medico e rafforzata dall’affetto della famiglia.
La sfera relazionale, in fase di trattamento, risulta quindi un fattore decisivo nella cura.
“Da questo studio emerge l’importanza della presa in carico della persona a 360 gradi durante tutto il percorso di cura e anche oltre – dichiara il Presidente della Regione Lombardia, Roberto Maroni -. E proprio questo è il principio fondamentale della nostra riforma del sistema sociosanitario lombardo: passare dal concetto di “curare” a quello di “prenderci cura” del paziente anche sul territorio, non solo in ospedale ma nei luoghi della quotidianità. Regione Lombardia punta a un modello di Welfare completo ed efficiente, per tutelare anche i malati cronici, gli anziani, i disabili e i più piccoli”.
“Questa innovativa ricerca racchiude il lavoro di squadra tra diversi esperti dell’INT e sottolinea con forza l’importanza dell’umanizzazione della cura, da sempre fulcro dell’attività nel nostro Istituto – confermano il Presidente dell’Istituto Nazionale dei Tumori, Giuseppe De Leo e il Direttore Generale, Gaetano Cosenza -. Quella dei nostri medici è una vera e propria missione che si snoda attraverso diversi progetti, a partire dal ‘Progetto Giovani’ della Pediatria fino alle attività di vicinanza al paziente del Reparto di Cure Palliative e della Terapie del dolore. In questo modo continuiamo a dimostrare quanto l’attenzione ai bisogni spirituali del malato sia fondamentale nel percorso di cura, a qualsiasi età”.
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