Uno studio sulle cellule staminali del cancro rivela in quali casi il tumore non reagisce alla terapia e alcuni geni diventano responsabili della progressione metastatica. Pubblicata a fine 2015 su Oncotarget, la ricerca è stata guidata dalla biologa Vera Cappelletti e da Maria Grazia Daidone, direttore del dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare dell’Istituto Nazionale dei Tumori.
Milano, 14 gennaio 2016 – Passi avanti nella ricerca sul tumore alla mammella grazie al lavoro di un team guidato da due ricercatrici dell’Istituto Nazionale dei Tumori, Vera Cappelletti, biologa, e Maria Grazia Daidone, direttore del dipartimento di Oncologia Sperimentale e Medicina Molecolare, realizzato con il sostegno di AIRC, CARIPLO e Ministero della Salute: è stato identificato un profilo molecolare che caratterizza i carcinomi mammari resistenti al trattamento con antiestrogeni.
I ricercatori dell’INT hanno raggiunto infatti importanti risultati nella ricerca di base sulle cellule staminali tumorali: seppur presenti in basso numero nei tumori umani, queste cellule sono in grado, da sole, di rigenerare l’intero tumore, di migrare in circolo e di dare origine alle metastasi.
Lo studio, i cui risultati sono stati pubblicati alla fine del 2015 su Oncotarget, ha utilizzato una tecnica altamente innovativa (RNA-seq), e con essa si sono evidenziati, proprio all’interno delle cellule staminali tumorali del carcinoma mammario, i geni responsabili della mancata risposta alla terapia ormonale attualmente in uso, quella con antiestrogeni.
“Il tumore mammario, che nelle donne costituisce ancora la prima causa di morte per neoplasia, nel 70% dei casi si presenta all’esordio sotto forma di malattia sensibile agli ormoni. In questo caso si apre un’opportunità di cura con trattamenti anti-ormonali relativamente poco tossici ed altamente efficaci – spiega la dottoressa Daidone. Le pazienti che possono beneficiarne vengono identificate in base a caratteristiche intrinseche del tumore, come il recettore per gli estrogeni, un classico biomarcatore di sensibilità agli ormoni. Alcune pazienti però sviluppano resistenza nei confronti della terapia ormonale iniziale, e vengono trattate con farmaci antiormonali di seconda generazione, ad esempio l’antiestrogeno fulvestrant che si è dimostrato efficace anche nel trattamento di donne con tumori metastatici”.
La ricerca, grazie a questo studio, ha fatto un passo in più: “Abbiamo individuato una specifica ‘firma’ molecolare che raggruppa 77 geni particolarmente attivi nei tumori delle donne che possono andare incontro a resistenza a questa terapia – spiega la dottoressa Daidone. A differenza dei biomarcatori di endocrino-resistenza finora individuati, questa firma molecolare è stata generata in un contesto biologico molto rilevante, poiché identificata da un confronto diretto tra cellule di carcinoma mammario del tutto simili, tranne che per le loro caratteristiche di staminalità. La presenza nei tumori di RNA messaggeri codificati da questi geni individua perciò la specifica sottopopolazione tumorale staminale, ritenuta responsabile della progressione metastatica, che spesso si ritrova arricchita in seguito ai trattamenti”.
La ricerca continua. Partendo da questi studi si potrebbero individuare ulteriori biomarcatori di sensibilità agli ormoni da affiancare al recettore per gli estrogeni.
Cs 11_01_2016 Studio carcinomi mammari trattamento antiestrogeni
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